Ecco, i social: chi si indigna, chi comunica, chi fa soldi.

Ha circa la mia età e non ha mai utilizzato i social. Con serena compostezza mi dice sempre che non li odia, ma che essere presente in un mondo virtuale non gli interessa. Io penso che invece tema di lasciarsi coinvolgere troppo, ma si sa che non c’è debolezza che vediamo negli altri che non ci appartenga.
Guarda moltissimi film (dagli anime di Myazaky al cinema d’autore polacco rigorosamente in lingua originale con sottotitoli in bulgaro antico), legge numerosi libri (“Guerra e Pace” gli pare troppo breve e incompleto) e si spolpa tre quotidiani al giorno (dal “Manifesto” a “Il Giornale”) ma, ciononostante, io che il mondo social lo abito comodamene apprendo le notizie sempre un po’ prima di lui non lasciandomi scappare l’opportunità di farglielo notare. Mai. Ogni tanto mi domanda qualcosa, tipo che differenza passa tra un cuore e un like, io gli rispondo che ognuno attribuisce il significato che preferisce, ma che addirittura taluni amori nascono con un cuore, talaltri si disintegrano e certi discutono animosamente, perché i cuori si sa, suscitano anche pericolose gelosie.
Recentemente mi ha chiesto qualche informazione su una tale Chiara Ferragni e su come fosse diventata tra le “influencer” più famose in tutto il globo terracqueo. Così gli ho mostrato il suo profilo Instagram e i suoi quasi diciotto (18!) milioni di follower. La sua espressione è stata tutto un programma, come quella di un vegano salutista davanti una macelleria della via Plebiscito! Un altro aspetto che secondo me era meritevole di approfondimento è stato quello dell’”indignazione”. Chi frequenta i social se è indignato per qualcosa sente il bisogno di comunicarlo affinché tutti lo sappiano. E così forse, dopo, si sente meno indignato.
Così, già che eravamo in ballo, preso da un’insolita curiosità social, mi ha chiesto di mostrargli il profilo di Giulia De Lellis e raccontargli cosa si dice in giro (per il mondo social) della sua attività di scrittrice che ha scatenato un putiferio di polemiche e… indignazione. In conclusione, sempre con quella gentile compostezza e con quel suo affabile sorriso, ma col tono grave dei discorsi importanti, mi ha detto: “Queste signore, un po’ come fai fu, utilizzano molto i social per comunicare. Solo che loro ci hanno pure ricavato un sostanzioso gruzzoletto”.
Giusi Lo Bianco

Già mi chiami gioia?

Primo collegio docenti. Una collega mai incontrata prima mi urta involontariamente e mi dice: “Scusa gioia”.
Giusi smettila di prenderti a “tumpulate” per capire se sogni o sei desta. Un’assoluta sconosciuta si è rivolta a te chiamandoti gioia.
È ufficiale, quest’anno insegnerai a Catania.
Tra le fortune che custodisco gelosamente nel mio patrimonio cosmico, quella a cui sono più affezionata è l’essere nata in una città del Sud nella quale la gente generalmente è parecchio disposta alle relazioni umane. Per struttura desossiribonucleica sono fortemente proiettata “all’altro” tanto da riuscire a socializzare anche con le pietre (anche le più introverse e asociali).
Le persone mi sono sempre piaciute, sono libri aperti che raccontano storie che io desidero leggere voracemente. Mi piace entrare nelle narrazioni altrui e la mia città si presta benissimo alla mia sete opulente di vita. Noi catanesi siamo un popolo prevalentemente estroverso, professiamo la libertà e anche la filosofia del “peace&love”.
Accade spesso di conoscersi e legarsi immediatamente, i neuroni si specchiano e, con sorriso affabile, tutto si conclude con un “a puttamu subutu a café” o forse, nell’attuale epoca moderna, addirittura ad apericena (che Dio fulmini il suo inventore!).
È una sorta di piacere catartico che ci godiamo con leggera incoscienza. Una tale impudica spontaneità si dirama anche nella nostra cifra stilistica. Basta davvero un attimo per darci del “caro”, “tesoro”, “gioia” e “dolcezza”, o il più diffuso “beeddaaa” (o beddu declinato al maschile). Non siamo una comunità che ha dentro introiettati misura e contegno, sarà per via del clima o per via dei numerosi popoli che hanno colonizzato anche il nostro habitat emozionale, ma Catania è così, basta scambiare venti parole per diventare amici. Non è comprensibile, non è giustificabile, forse neppure sano, ma non si può non subire il fascino di un tale trasporto, di un tale entusiasmo e della seduzione di questo scoprirsi.
È l’ineludibile destino di questo popolo.
Giusi Lo Bianco

Sogni al potere

C’era una volta un bambino che aveva un sogno, voleva diventare Presidente degli Stati Uniti per rendere il mondo più sicuro.
Forse la ricchezza che più sentiva di possedere era proprio la sicurezza, la fortuna di appartenere ad un mondo affettivo che lo proteggeva e quindi desiderava poterne far dono all’intera umanità. Nonostante i suoi sette anni quel bambino capiva che sicurezza, protezione e responsabilità sono strettamente connesse tra loro…immagina allora di “rispondere” al suo sogno con un impegno, desiderando di diventare qualcuno che possa avere le capacità e l’autorevolezza per realizzare il suo progetto. Quel bambino si fida di un tale ruolo istituzionale e gli attribuisce un compito quasi utopico, deve davvero crederci molto.
Una reazione educativa a catena insomma: una famiglia sicura e una scuola sicura lo hanno portato ad immaginare un mondo sicuro dove la leadership ha giocato un ruolo fondamentale.
Quindi che dire…una persona con questi ideali (E SOPRATUTTO SE MI NOMINA SUA VICEPRESIDENTE ) io la voterò a occhi chiusi!
Giusi Lo Bianco

Vergogna: la più nobile delle emozioni.

Tempo fa una persona che mi sta profondamente a cuore mi disse una cosa molto bella e le mie guance si tinsero di rosso.

La scorsa settimana sono arrivata a lezione in ritardo, indecoroso ritardo. Avendo addosso gli occhi di tutti sono diventata rossa come il sangue trasportato dai miei capillari.

Il rossore è un compagno costante della miavita e non passa mai inosservato. È evidentemente indispensabile per il mio sostentamento e trova con facilità un posto comodo dove insediarsi. Ho da sempre indossato l’imbarazzo sul volto per svariati motivi: dall’incapacità di contenere una vertigine di felicità assoluta, alla vergogna per qualche mia palese mancanza.

Ho realizzato, con un certo senso di compiutezza, che si tratta di un bene rarissimo, introvabile all’ipermercato e inesistente nel web. Ho capito che è una qualità che va custodita e restaurata nel tempo. Arrossire è una delle cose belle rimaste. La vita attuale disabitua al rossore, sia a quello dell’emozione sia a quello della vergogna. Non arrossiamo più per un complimento anche perché ne riceviamo in abbondanza e spesso sono privi di autenticità.

Abbiamo dimenticato le buone maniere per far spazio all’arroganza e al “tutto ci è dovuto”. Non ci vergogniamo di essere ineducati, incivili e sgarbati perché è più emozionante essere furbi.

Mi mancano i consigli delle mie nonne:

Intimo e calze sempre di qualità e in ottime condizioni, non si sa mai un pronto soccorso improvviso.
Questo non si fa o non si dice perché “pari mali” (sembra male, scortese).
Anche se dovessero aver torto i tuoi insegnanti hanno sempre ragione.

“Vergognati”, da quanto tempo non lo sentiamo più in bocca ai genitori al giorno d’oggi? Ai figli tutto deve essere concesso.

Siamo diventati sguaiati, pure nei social, prigionieri di un bisogno sfrenato di condividere anche ciò che dovrebbe abitare solo nella nostra anima.

Abbiamo perso il valore del pudore per sostituirlo con quello del clamore. Perché quello che abbiamo smarrito davvero è la nostra intimità.

Più scopriamo la nostra intimità, più il senso del pudore dovrebbe risvegliarsi.

Dove non ci sono né personalità né intimitàinvece il pudore diventa superfluo.

Diversi anni fa andai in vacanza ad Amsterdam, non ho abbastanza pudore da nascondervi che feci una passeggiata lungo la famosa strada a luci rosse. Una ragazza,grazie a una congiuntura rara quanto un’eclissi solare, dalla sua vetrina, si accorse che la bretellina del mio vestito scivolava lungo la spalla lasciando intravedere il reggiseno. Mi fece segno, con un sorriso complice e autorevole, di sistemarmi. Ebbe cura del mio pudore e della mia intimità, con un gesto di sussiegosa benevolenza, lì, da quella vetrina.

Giusi Lo Bianco

Se non ti ama chi amor ti dice, figuriamoci chi visualizza e tace.

Messaggio inviato con coraggio.
Attesa della risposta.
Quei puntini che ondeggiano…
Quei puntini di sospensione…
E se è vero che l’eternità non riusciremo mai a conoscerla di sicuro potremo immaginarla.
L’attesa di una risposta profuma di eterno e uccide tanto quanto l’idea di infinito.
È l’attesa di questo “sta scrivendo…” che fa impazzire chi aspetta una risposta. Siamo incapaci di attendere, di consegnare un pensiero e aspettare serenamente un’eventuale risposta. Eventuale.
Quando la risposta non arriva non sappiamo più cosa pensare. Per esempio, tra innamorati, forse andrebbe cambiata la strofa di “Teorema” “…chi meno ama è più forte si sa…” con “In amore, vince chi è online su WhatsApp e non risponde…”.
Effettivamente l’ultimo accesso su WhatsApp fa più danno di un paio di corna!
Questo (e altro) spiega la sensazione, tipicamente contemporanea, di trovarci in situazioni emotivamente devastanti che esistono solo nella nostra testa, come chi prende troppo sul serio questa app, come quel mio amico che qualche sera fa mi diceva: “Stando a WhatsApp un’amica è “Al cinema” da ieri sera. Ho avvisato i pompieri perché secondo me è rimasta chiusa dentro”.
Secondo un certo cliché, questa è l’epoca della “comunicazione istantanea”.
In realtà questo non è proprio esatto, la verità è che viviamo in un’era dove la comunicazione istantanea è possibile, ma grazie al Cielo non avviene sempre, grazie al Cielo l’attesa non è stata ancora sterminata.
C’è una speciale, solitaria malinconia nello sperimentare l’ansia e la tensione per l’attesa di una risposta.
La novità dell’era della comunicazione istantanea è che ci consente di gestire le conversazioni come meglio desideriamo.
Se non ci sentiamo sicuri del nostro lavoro, di quando e se andremo in pensione o di che fine farà il pianeta in cui viviamo, almeno possiamo decidere in assoluta libertà a chi permettere di entrare nella nostra vita e quando, eventualmente, rispondere a un messaggio. La spunta blu di WhatsApp può avere due significati: che il messaggio è stato letto o che è stato ignorato con successo. Facezie a parte, il problema è che gli svantaggi di questo tipo di controllo possono finire per superare i vantaggi. Un mondo in cui non abbiamo doveri nei confronti di nessuno è anche un mondo dove nessuno può vantare diritti nei nostri confronti.
In fondo è il prezzo della libertà, che non sempre libera.
In definitiva, se non t’ama chi amor ti dice, non t’ama neppure chi visualizza e tace.
(Quanto a voi, miei cari 25 lettori, leggetemi, perché mi accorgo se non lo fate.)
Giusi Lo Bianco