Adolescenza 2.0

CATANIA – Entra in maniera quasi anonima, saluta velocemente, è incappucciata fino al collo, si chiude in bagno accompagnata da due coetanee. Dopo qualche minuto esce dal bagno, non ha più nulla di anonimo, sfoggia un magnifico vestito che indossa con invidiabile portamento, lunghi e setosi capelli nero corvino e tacchi a spillo… si butta nella mischia sorridendo e con una certa sicurezza che non esita a mostrare.

Un normalissimo venerdì sera, festa di compleanno di una ragazza che compie 16 anni…

16 anni, cosa vuol dire oggi avere 16 anni?

Ci avviciniamo a un ragazzo, gli chiediamo con tono scherzoso se è un teenager, ci risponde sorridendo e con tangibile delicatezza: “In realtà non sono più un -teen, ho già 20 anni, ma… alla fine non cambia molto”. Ci parla di sé e dei suoi sogni, studia all’Università Scienze Motorie e lavora insieme al padre in un negozio. È un appassionato di tecnologia e informatica. Stando a lui, tutto ciò che si sente sugli adolescenti di oggi – confusi, apatici, senza valori, senza sogni – è solo una grande bugia. Al contrario ci sembra molto consapevole, lucido, determinato. “Viviamo in un periodo troppo difficile, so benissimo che per raggiungere buoni risultati sia nello studio sia nel lavoro dovrò faticare moltissimo e lavorare sodo come fanno ancora i miei genitori e hanno fatto i miei nonni”.

Intanto i ragazzi e le ragazze ballano, i tacchi altissimi vengono sostituiti da comode scarpe da tennis, non si rinuncia al divertimento, anche se questo significa mettere da parte per un po’ l’eleganza e l’essere alla moda.

“Non verranno servite bevande alcoliche stasera, siamo molto attenti sotto questo punto di vista, neppure nella torta c’è alcool, tanti ragazzi torneranno a casa soli con i loro motorini e le loro mini car, non sarebbe né legale né prudente, nell’esame del palloncino basta una piccola quantità di alcool per essere valutati brilli” ci dice la giovanissima madre della festeggiata.

Sono tutti sorridenti e integrati, qualcuno proviene dall’altra parte del mondo ed è in Sicilia grazie ai progetti INTERCULTURA. Cantano in coro, fanno il trenino, scherzano tra loro. Si respira un ambiente sano, sono tutti affettuosi tra loro, si abbracciano, si portano cibo e bevande a vicenda, si prendono affettuosamente in giro… qualcuno si scambia sguardi inequivocabili… sembra innamorato!

Adesso ci avviciniamo alla festeggiata, che ci appare felice e bella più che mai, dona un po’ di sé a tutti i suoi amici, non trascurando la sua famiglia e i parenti presenti. Le chiediamo di parlarci di lei, dei suoi sogni: “Essere adolescenti non è così facile come sembra, noi giovani siamo sempre posti davanti a problemi che per gli adulti possono sembrare banali ed insignificanti, ma per noi corrispondono ad un qualcosa che ci provoca angoscia, tristezza e malumore.
Mi hanno sempre chiesto cosa volessi fare da grande permettendomi di far sbizzarrire la mia fantasia, ma più divento grande e più capisco che il Paese dove vivo non permette di realizzare qualunque risposta io avessi dato, anzi, ne limita la maggior parte. I nostri politici sono dei buoni a nulla il cui obiettivo è arricchirsi senza preoccuparsi delle persone che hanno riposto fiducia in loro. Proprio per questo motivo ho sempre sognato di andare via di qua, di andare a vivere in un posto dove io possa sfruttare le mie conoscenze linguistiche dopo anni di dedizione e studio e dove possa avere un futuro ricco di grandi cose. La società in cui vivo non mi piace… Cosa posso pensare vedendo la delinquenza in ogni sua parte ogni giorno, vedendo persone che hanno dedicato anni a studiare e che devono vedersi sbattere le porte in faccia perché raccomandati incapaci vengono prima di loro, vedendo politici ricchi dormire in aula e persone che cercano lavoro disperate perché non possono dare da mangiare ai figli? Qualche mese fa, durante uno stage all’estero, mi è capitato di incontrare delle persone del luogo che, nel momento in cui hanno capito che io ero siciliana, non hanno esitato a dire – Sicily? Mafia ahahahahah – come si dovrebbe sentire una ragazzina di 16 anni davanti a queste affermazioni?”.

Con un po’ di amarezza ascoltiamo le sue parole, forse avremmo potuto consegnare a questi ragazzi un mondo migliore, ma siamo certi e fiduciosi che loro se lo sapranno costruire da soli.

Giusi Lo Bianco

Marco Travaglio al Metropolitan di Catania

CATANIA – “Erede di Montanelli”, “comunista”, “amico di Santoro”, “antiberlusconiano”, “fascista”….sono solo alcuni dei nomignoli che negli anni sono stati affibbiati alla penna (probabilmente) più arguta e sferzante del giornalismo italiano degli ultimi vent’anni.

E cioè il direttore de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Travaglio, che da qualche mese porta in scena nei maggiori teatri italiani “Slurp”, tratto dall’omonimo libro dello stesso autore, nel quale attacca, con la consueta satira, politici, opinionisti, intellettuali, ma soprattutto giornalisti, una categoria professionale per troppo tempo al servizio di potenti del momento, dagli anni Venti ai giorni dell’era renziana (strepitoso il parallelo iniziale tra i proclami della propaganda fascista nei confronti delle attività sportive del duce e gli articoli di certa stampa e programmi della televisione pubblica a favore di Renzi!).

Sabato 5 marzo, presso il Metropolitan di Catania, in compagnia dell’attrice Giorgia Salari, il giornalista torinese ha incantato il numeroso pubblico, incollandolo alle poltrone (come fanno i politici con le loro, direbbe il Nostro) e esibendosi in una autentica lezione di Storia Contemporanea e di giornalismo, segnando nettamente il confine tra il vero giornalista, cioè quello che funge da cane da guardia della democrazia per informare l’opinione pubblica, fa le pulci al potere, e il giornalista cortigiano, che pur di ben figurare col padrone o col potente di turno è disposto a rimetterci la faccia, la dignità e la deontologia professionale, anche rimangiandosi quanto scritto pur di non scontentarli se essi stessi cambiano idea.

Spettacolo ironico, divertente, per nulla scontato, anzi riflessivo poiché invita a vigilare sull’informazione italiana che, anziché garantire a tutti noi un servizio eccellente, scrive articoli o manda in onda servizi celebrativi della classe dirigente del Paese.

Nelle circa 2 ore di esibizione i 2 artisti non risparmiano nessuno, poiché i giornalisti che scodinzolano ai piedi dei potenti non fanno distinzioni di colore politico, dai 3 governi Berlusconi, ai 2 di Prodi, a quelli di Monti e Letta nipote e, dulcis in fundo, quello del rottamatore Renzi….

Gli applausi finali sanciscono il successo dell’opera che, come l’autore stesso scrive nell’omonimo libro, dedica “…a chi usa la lingua per parlare, denunciare, per urlare, per fare pernacchie…”

Giusi Lo Bianco

Specchio specchio dei miei neuroni…

Sguardi che si incrociano, vibrazioni, emozioni perfettamente sintonizzate, stesso equilibrio, stesso squilibrio. È la chimica degli incontri, dei rapporti interpersonali, è l’empatia.

Dal greco empatéia, la parola è composta da en (dentro) e phatos (sofferenza o sentimento). Il termine veniva usato per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’aedo col suo pubblico; oggi l’empatia non solo è la componente principale di una relazione, ma è soprattutto uno strumento prezioso in qualunque ambiente, sia nella sfera personale sia in quella sociale. Chi possiede questo dono, innato o acquisito nel tempo lavorando su sè stesso, è molto fortunato perchè è capace di identificarsi con lo stato d’animo di un altro individuo, senza necessariamente fare ricorso alla comunicazione verbale; è fortunato perchè la sua comunicazione sarà sempre chiara ed efficace.

È la chimica? È la pancia? È il cervello! Sono neuroni che si specchiano. Quando incontriamo una persona dolce, dai modi gentili, sorridente e disponibile i nostri neuroni si specchiano.

I miei riconoscono nei suoi la mia dolcezza, la mia gentilezza, la mia disponibilità, il mio sorriso, il mio dolore. Se invece mi confronto con una persona chiusa, sfidante e ostile immediatamente sento la mia chiusura, il mio senso di sfida verso l’altro, la mia ostilità. Qualunque siano le emozioni che percepisco nell’altro è sempre il mio sentire che si attiva.

Immensamente affascinante la scoperta dei neuroni a specchio dello scienziato italiano Giacomo Rizzolatti. Semplicemente meravigliosa la capacità che ha il nostro cervello di attivare gli stessi neuroni che in un determinato momento sono attivi in chi ci sta di fronte. Le manifestazioni emozionali che osserviamo nell’altro attivano il medesimo substrato neuronale collegato alla percezione in prima persona dello stesso tipo di emozione. Tutto ciò significa che esiste un meccanismo naturale e biologico che ci mette in relazione con gli altri… il nostro cervello sceglie, a prima vista, i neuroni in cui specchiarsi.

Giusi Lo Bianco

L’intelligenza del cuore

Quando lessi per la prima volta “L’intelligenza emotiva” di Daniel Goleman rimasi basita nell’apprendere che la mia emotività è governata da un piccolo gruppo di strutture interconnesse a forma di mandorla che prendono il nome di “amigdala” (che in greco significa appunto mandorla).
La nostra amigdala, posta sopra il tronco cerebrale, è infatti una specialista infallibile di questioni emozionali…
Vi rendete conto? A capo del nostro universo emotivo, più o meno turbolento, c’è una specie di mandorla!
Se venisse rimossa dal resto del cervello il risultato sarebbe un’evidentissima incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi; oserei definire una condizione del genere “cecità affettiva”, una specie di perenne apatia!
La vita senza l’amigdala è un’esistenza spogliata di significato personale.
Tutte le nostre passioni dipendono da questa mandorlina dispettosa… insomma una sorta di sentinella delle emozioni capace, all’occorrenza, di sequestrare il cervello e farci vivere l’emozione del momento: rabbia, paura, ansia, gioia, allegria, in maniera totalizzante.
Questo grilletto molto sensibile, e talvolta anche dispettoso, analizza ogni esperienza e va…come dire…a caccia di guai!
Ma Dio, nell’aver progettato l’architettura del nostro cervello, nella sua assoluta perfezione, ha dato un ruolo fondamentale alla neocorteccia, con le sue funzioni molto più raffinate dell’amigdala, in quanto riveste il compito di elaborare le informazioni attraverso vari livelli di circuiti cerebrali prima di poterle percepire in modo davvero completo ed iniziare la sua risposta decisamente non istintiva ed emozionale, ma razionale.
Una vera battaglia quindi tra l’amigdala, che lavora per scatenare una reazione ansiosa ed impulsiva, e le altre aree del cervello che si adoperano per produrre una risposta correttiva, più consona alla situazione.
Cari lettori vi ho appena presentato l’eterno conflitto tra mente e cuore!
Non c’è vincitore né vinto in quest’affascinante battaglia… intelligenza ed emozioni se la caveranno solo alleandosi… solo
l’ intelligenza del cuore genera nella persona equilibrio e possibilità di essere felice…
Esistono quindi due intelligenze: quella razionale e quella emotiva.
Il nostro modo di comportarci è determinato da entrambe, non dipende solo dal quoziente intellettivo, ma anche dalla capacità di riconoscere e gestire le nostre emozioni, quindi dall’intelligenza emotiva.
Non possiamo vivere senza ragione, ma nemmeno senza emozioni… ma se riusciamo a trovare il giusto equilibrio tra le due componenti raggiungeremo l’ armonia tra la mente e il cuore… e faremo un uso intelligente delle emozioni!
Nel mio lavoro di insegnante e nella mia vita tutta in genere l’intelligenza del cuore ha un ruolo fondamentale… lavoro su me stessa da quando ho piena consapevolezza dei miei stati dell’io ed educo tutti i giorni le mie alunne e i miei alunni ad essere “persone” e a mettere insieme mente e cuore.
Il più importante contributo che la pedagogia può dare allo sviluppo di un bambino è quello di educarlo all’autoconsapevolezza, all’autocontrollo, all’empatia, all’ascolto,alla riduzione dei conflitti e alla cooperazione.
La scuola deve sin dall’inizio “alfabetizzare”le emozioni, insegnare alle bambine e ai bambini a riconoscerle e soprattutto a gestirle…. e ai più piccini e alle più piccine l’intelligenza del cuore non si spiega… ma si testimonia…
Come?
Con l’esempio!
Un’insegnante serena, autorevole, gioiosa, di abbondanti sorrisi, che parla delle proprie emozioni e invita alunne e alunni a verbalizzare le loro certamente farà la differenza!
Purtroppo il malessere emozionale nella nostra società è in forte crescita e i segni sono tangibili ovunque e sempre… la violenza e la brutalità a cui assistiamo tutti i giorni ne sono la prova.
Tutto ciò non fa altro che suggerirci di insegnare alle bambine e ai bambini l’alfabeto emozionale e le capacità fondamentali del cuore…. è bene che imparino sin da piccoli a controllare i loro sentimenti negativi, a conservare il loro ottimismo, ad essere perseveranti nonostante le frustrazioni, ad aumentare la loro capacità ad essere empatici, a prendersi cura degli altri e a cooperare e stabilire legami sociali.
Solo puntando sui bambini e sulle bambine potremo sperare in un futuro più sereno.
Nb: le persone che al mondo hanno più successo hanno una spiccata intelligenza del cuore!
Le aziende più all’avanguardia del mondo, nella loro selezione del personale, valutano, prima di tutto, l’intelligenza emotiva dei candidati.
I leader in genere hanno una spiccata intelligenza emotiva.
Giusi Lo Bianco

RaccontateVI

Quando lessi per la prima volta “Novecento”, uno dei capolavori letterari di Baricco, rimasi molto colpita da queste parole: ” Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla”.

Ognuno di noi è protagonista della propria particolare storia e nel raccontarla si attiva un processo di riscoperta che permette nuove vie per esprimere la propria identità e la propria soggettività.

La vita è storia, la scienza è storia, noi siamo storia…Narrare il nostro vissuto ci mette in contatto con la parte più intima di noi stessi e ci permette di instaurare un legame indissolubile col mondo esterno.

Tra i primi ad attribuire un valore terapeutico alla narrazione fu Jerome Bruner, psicologo statunitense, che ha apportato un grande contributo allo sviluppo della psicologia culturale e della psicologia cognitiva nel campo della psicologia dell’educazione.
Lo studioso riconosce alla narrazione un ruolo e un’importanza fondamentali, sia a livello individuale sia culturale. Egli ipotizza l’esistenza di un pensiero narrativo cioè di una predisposizione dell’individuo ad organizzare l’esperienza in forma narrativa.
L’essere umano ha bisogno di dare forma e senso alla realtà e al proprio agire, di comunicare agli altri i significati colti nell’esperienza, di mettere in relazione passato, presente e futuro.
La narrazione, secondo lo psicologo, favorisce la costruzione dell’identità; il sè, difatti, prende forma e si struttura attraverso il raccontarsi agli altri, mediante un processo di negoziazione di significati. Narrando la propria storia il soggetto attribuisce al proprio mondo e alla propria cultura un significato.

Bruner parla di un “sè narratore”che ha lo scopo di raggiungere la “verità narrativa”, una verità storica che comprende non solo ciò che siamo stati, ma anche le anticipazioni di ciò che saremo.
Presso la Facoltà di Medicina della Columbia University, è persino nato il “Movimento di Medicina Narrativa” fondato dalla dottoressa Rita Caron che cura il paziente mediante un processo di ascolto che si basa su una tecnica di conversazione molto raffinata che conduce il medico a capire, mediante l’ascolto delle proprie emozioni e di quelle del paziente, diagnosi e relative azioni terapeutiche mediante “una storia” come atto interpretativo.

D’altra parte la radice etimologica di “narrazione” è “gnarus” che significa “competente”, “informato”. La prima forma di competenza è “sapere agire”. Il contrario di narrare, quindi, non potrebbe altro che essere “ignorare”.
Raccontate…VI!

Giusi Lo Bianco

Dialogando

L’educazione, secondo Platone, è una scienza che ha per fine l’anima e va “curata” tramite il dialogo filosofico. La sua filosofia più alta è certamente contenuta nei Dialoghi. Platone ha scelto la forma del dialogo, perché in esso ha visto il vero metodo della filosofia; il dialogo, infatti, presuppone un io e un tu.
Da un lato “logo” ossia “discorso”, dall’ altro “dia” ossia “tra”, il dialogo è sempre uno scambio comunicativo “tra” due o più persone e, per essere reputato tale, non può essere mai nè preconfezionato nè rigido, ma sempre in divenire. Anche il dialogo con se stessi è autentico solo nella misura in cui si arriva a livelli di consapevolezza maggiori di quelli iniziali.

Martin Buber è universalmente considerato il filosofo del dialogo. Nato a Vienna da una famiglia ebrea nel 1878 e morto a Gerusalemme nel 1965, ha maturato il suo pensiero filosofico, pedagogico e teologico durante il periodo delle due guerre; tali esperienze certamente hanno contribuito notevolmente alle sue riflessioni di cui ogni educatore oggi fa tesoro.
Buber contrappone il dialogo “Io – Tu” basato sul riconoscimento dell’altro quale persona, al monologo “Io – Esso” dove invece l’altro viene trattato come oggetto. Questa è una distinzione fondamentale per chi si occupa di educazione, dove chiaramente servono dialoghi e non monologhi.
Ma cos’è che trasforma l’Esso in Io?
Innanzitutto un ascolto profondo dell’altro, un ascolto che presti attenzione alle sue parole, ma anche ai suoi gesti e alle sue espressioni. Fondamentale inoltre un atteggiamento di apertura privo di preconcetti e pregiudizi senza pensare di sapere ciò che l’altro sta per dire.
Non si può poi escludere la curiosità nei confronti dell’altro, la vera volontà cioè di conoscere i suoi pensieri e le sue emozioni.
Infine, ciò che completa il dialogo, è la fiducia: considerare l’altro un soggetto capace di portare un proprio punto di vista.

É chiaro che se trattiamo un bambino come un “tu”, a sua volta lui imparerà a trattare gli altri come persone.
Molti atti di aggressività e bullismo possono essere riletti alla luce di questa “oggettivazione” dell’ altro, un altro privo di pensieri ed emozioni.
Quante volte il nostro dialogo con l’altro è “Io -Tu”?
Quante volte è “Io – Esso”?
Trattare l’altro come Esso adattandosi alle nostre esigenze è certamente più semplice.
Accettare le diversità del tu e ricercare le innumerevoli modalità di convivenza è molto più impegnativo e alla base di un dialogo autentico.
Giusi Lo Bianco

Insegnare in carcere

La causa di tutti i mali è l’ignoranza; le persone ignoranti sono predisposte a commettere reati di vario tipo, a volte gravi o gravissimi, lo fanno senza rendersene conto, convinti che certe cose si possono fare e basta. Una vita senza alternative sane, belle e buone alla devianza, può avere conseguenze disastrose, tra cui un’esperienza detentiva in un carcere.

Il carcere, per un minore, è l’anticamera della morte, é come camminare in mezzo ad un campo minato e sperare di calpestare la mina per farla finita; alcuni trovano la forza e soprattutto il coraggio di agire per proprio conto chiudendo definitivamente la partita nella totale indifferenza di tutti.

La legge comunque non ammette ignoranza, chi sbaglia deve pagare ed è giusto così, anche se a pagare, spesso, sono solo i “diseredati”. La legge dice anche che i carcerati devono essere rieducati e preparati per affrontare la nuova vita, una volta espiata la pena. Lo Stato assicura ai carcerati corsi di formazione professionale, attività socio- culturali di vario tipo, consente anche attività lavorativa retribuita; tutte opere intese alla rieducazione del condannato. Queste attività vengono svolte da insegnanti, educatori, volontari ecc…

Una particolare attenzione va rivolta agli insegnanti poiché non svolgono solamente opera istruttiva, didattica ed educativa, ma sono anche bravi psicologi e pedagogisti che riescono a creare delle relazioni educative efficaci e idonee al cambiamento.

Interessantissimo, commovente e molto coinvolgente emotivamente, a tal proposito, è il libro di Mario Tagliani, Il maestro dentro, add Editore.

Mario Tagliani va seguito e non va perso di vista. Ci ha aperto i cancelli del Ferrante Aporti, l’Istituto penale per minori di Torino. Gli stiamo dietro nei corridoi, nelle celle, nelle aule in cui insegna italiano e matematica e nel cortile dove lo sguardo si allunga al cielo e il pallone è metafora di vita.

L’autore ci insegna che un insegnante in carcere è molto più di un insegnante…deve affinare l’arte dell’ascolto, deve essere in grado di raggiungere tutti i ragazzi, ma proprio tutti, anche quello più spavaldo, arrogante, provocatore, che sfida, che disturba, che per un momento lo fa pentire amaramente di aver scelto questa strada…questo lavoro tra gli ultimi, tra i disperati, che gli insegna però a sospendere ogni forma di giudizio. Non spetta a lui giudicare, è lì solo per dare un’alternativa, per testimoniare che un’altra strada c’è…

In carcere si impara anche a seminare senza la benché minima pretesa di raccogliere e qualora una raccolta ci sarà non spetterà certo al seminatore. In carcere si impara ad attendere….a raggiungere un obiettivo educativo senza ricorrere agli agenti di Polizia, ma con l’autorevolezza, la fermezza e l’empatia.

Un insegnante in carcere deve sostituire la routine con altri percorsi che sappiano catturare l’attenzione, che facciano sentire i ragazzi in grado di apprendere, crescere e mutare; deve scovare le risorse nascoste inevitabilmente presenti in ogni ragazzo, deve saperle attivare e deve fargli capire che sono il suo bene più prezioso, un capitale che nessuno mai potrà sottrargli.

Un Insegnante in carcere deve accogliere rabbia, disagio e dolore e deve credere comunque nella bellezza: nella bellezza, nonostante tutto.

Dedico quest’articolo alla dott.ssa Milena Mormina, dirigente della Casa Circondariale Piazza Lanza di Catania. Da quell’esperienza ho imparato che chi nasce tondo può morir quadrato!

Giusi Lo Bianco

Educo…quindi amo

Educo quindi amo…sin da bambina sapevo cosa volevo fare nella vita: il mio posto nel mondo era tra banchi, lavagne, libri e colori….il luogo più bello dopo la  mia casa per me è la MIA scuola.

L’ho pensato a 3 anni all’ingresso alla scuola materna e ne ho avuta profonda certezza a 23 quando per la prima volta delle piccole creature mi hanno chiamata “maestra”! Indescrivibile l’emozione provata…è come se si riuscisse ad abbracciare l’universo in tutta la sua meraviglia, come se si raccogliesse tutto lo stupore del mondo tra le mani.

Una maestra crede sempre nel bello, nel vero e nel buono e ha la certezza che il mondo possa cambiare e diventare migliore proprio perchè vive a contatto con i bambini! E da quando, per la prima volta, chiamai “maestra” la signora Letizia, la mia insegnante di scuola materna alla Nazario Sauro (Catania), la mia vita ha scelto un progetto che non avrà mai fine. Diploma magistrale, laurea in scienze dell’educazione, master in pari opportunità e bla bla bla perchè se ami questo lavoro non puoi mai smettere di studiare, leggere, aggiornarti, imparare, metterti in discussione, evolverti…insomma un continuo divenire! 2 i miei “alberi maestri” in questa avventura di vita: Maria Montessori col suo matrimonio d’amore tra libertà ed educazione e San Giovanni Bosco col suo sposalizio passionale tra educazione e “cuore”.

Questa è la maestra Giusi…vi terrò compagnia ogni sabato scrivendo di pedagogia…la scienza dell’educazione per eccellenza che contiene il bello di tutte le altre scienze…un pò ‘ come una scuola con un teatro e un giardino contiene tutto il bello della vita…

Giusi Lo Bianco