Se c’è il sole o tira il vento “a tapallara”non si tocca

Da tempi immemorabili in piazza Cavour (per gli amici “u buggu”), sopravvissuta ai restauri “scapagniniani”, si erge superba e sprezzante, femminile e sensuale, la statua di una divinità greca: la dea Cerere.

No.

Si sarebbe confusa “che ciniri da muntagna” e a catanese unanimità diventò la dea Atena Pallade.

A invocarla, nell’urgenza delle intenzioni e aiutata dal nostro meraviglioso dialetto, per comprensibili artefizi fonetici, ecco a voi “a tapallera”.

Sempre stagliata lì contro il cielo, sia che ci sia sole sia che piova, con la presenza di catanese canicola quanto di  gelo chiaramente  importato, irremovibile dalle sue posizioni. E, soprattutto, sempre in mezzo alla gente.

Sia chiaro: apparentemente colei sta lì solo per farsi guardare, ma attentamente osserva lo struscio nello struscio.

“Grossa è, Don Angelo”! Esclamerà qualcuno, ma questa è un’altra storia…

Torniamo alla nostra Atena declassata per amore. Nell’antica Katane Ella era tra le pochissime figure femminili che potevano permettersi di esser sempre in giro senza che nessun osasse proferir verbo ingiurioso, se non il suo proprio nome: tapallara.

Impossibile insultarla e così la rabbia maschilista aveva come unico sfogo per la propria frustrazione il pronunciar bilioso del suo nome: “Si na tapallera”, illudendosi di offendere col proferir del nome come se Fetonte  avesse colpa di chiamarsi tale, mentre in realtà era “l’autista” del carro del Sole, mestiere dignitosissimo e soprattutto illuminante.

E orgogliosamente tante siamo le tapallare cui sopra.

Tra un aperitivo all’Una Hotel, un seltz limone e sale da Giammona, due linguine alle vongole alla Costa Azzurra, pane con formaggio, olive e vino al Nievski e un panino a’ via Plebiscitu , la scelta sarà solo di quell’istantaneo desiderio inattaccabile dagli sguardi dei “mummuriatori seriali”.

Ci vedrete da sole, a due a due, in gruppo, davanti Max Mara, ma anche a’ peschirìa, di giorno o di notte o in trasferta a Milano per un aperitivo sui Navigli o per una pipì da Tiffany.

Svettante dal piedistallo sul Borgo vi mando il mio primo caloroso saluto.

 

 

Giusi Lo Bianco

L’ansia di chi vive l’amore in un nome

È seduta di fronte a me, ne percepisco l’ansia, è un’anima inquieta e irrequieta. Qualcosa la preoccupa. Avrà circa 16 anni, 2 occhi verdi e grandi e i capelli spettinati. Se li può permettere, è bellissima, forse scompigliata lo è ancora di più. È fragile. Ha la testa bassa, guarda quel telefono, aspetterà una sua risposta. Non arriva. Scrive, scrive ancora. Io la vorrei abbracciare e le vorrei dire tante di quelle cose. Sto in silenzio sperando che dal Cielo le giunga ogni sorta di benedizione. Respira affannosamente. Il suo volto all’improvviso cambia, sorride! Ora ha gli occhi quasi lucidi, le ridono. Stringe il telefono tra le mani, rilassa la testa all’indietro. Adesso lei è felice e io lo sono per lei. Il cuore mi batte. Forse ha lo stesso ritmo del suo.
Le dico: – si è fatto attendere troppo?
Mi sorride e mi risponde di sì.
Vorrei dirle tutto quello che so sull’amore. Non lo faccio.
– Come ti chiami, le chiedo.
– Anna, mi risponde.
– Anna, cosa sai dell’amore?
– Roberto. Questo è tutto quello che so dell’amore.

Parlo d’amore con una gaudente sedicenne, iperbolica e scapestrata. Sospiro! Penso che sia un periodo meraviglioso, lei mi sembra appagata e sognante e la sua adolescenza piena e dissoluta. Siamo su due lunghezze d’onda diverse, io inseguo la mia coscienza e aspiro alla consapevolezza. Mi intenerisco guardandola fremente, piena di lui e della sua scompostezza. Lei trema. Sento tanta vita. Età ispida e inquieta, senza contezza dei rischi e delle conseguenze delle proprie azioni. Ho l’impressione che si dedichi ad attività autodistruttive e sconsiderate che, lei non lo sa, le lasceranno tracce indelebili. Io alla sua età non facevo altro che riempire diari rilegati di pensieri apocalittici e sognavo di essere Jane Austen. Ora la guardo piena di tenerezza. Non sa cosa le spetta. Il suo amore è capace di evocare tenebre e perdizione. Ignora che l’amore richiede cura, tempo, passione, energia. Eppure, ama.

Giusi Lo Bianco

Il sapiente uso del tempo ci aiuterà ad invecchiare

Catania è un grande paese nel quale, nonostante ci si conosca davvero in tanti, si ha sempre l’opportunità di incontrare qualcuno di nuovo e caratteristico.

Lei è Sara, un’anziana signora seduta in una grande sedia a dondolo. Ha i capelli bianchi e le guance lisce. Accanto a lei c’è un tavolino con quello che le è necessario: alcune riviste, diversi libri, taccuino e penna e un vassoio di cioccolatini. È stata una professoressa di italiano e sembra una che ha scritto tanto e che ha vissuto un’iperattività sociale, culturale e ricreativa.

Profuma di inchiostro, acqua di colonia e vaniglia e adora ascoltare le nipoti studiare letteratura e ripetere le poesie a memoria.

È una catanese doc è ha tutta l’aria di essere una creatura capace di mixare ironia, tragedia e melodramma.

– Quando si invecchia, cara Giusi, i difetti, le paure e le ansie si amplificano fino a diventare la caricatura di noi stessi.

Sarà vero? Siamo davvero destinati a un’inesorabile e inevitabile involuzione?

Spero di no.

È rincuorante credere che sì ci sarà tanto buio, ma anche tanta luce.

Una cosa è sicura: il nostro percorso involutivo o evolutivo dipenderà di certo dal nostro cammino e dalla nostra capacità di coltivare con entusiasmo le nostre inclinazioni e le nostre follie.

Forse il segreto è un uso sapiente e fantasioso del tempo con la consapevolezza che il nostro tempo è un bene collettivo, mai solo nostro.

Mi piace anche pensare a quanto sia possibile costruire, lavorare, prevenire, imparare a conoscere i lati oscuri e procurarci candele per illuminarci anche nelle tenebre più fitte.

Quasi quasi comincio a guardarmi dentro e temo che un giorno i miei difetti possano diventare invalidanti per me e per chi abbia la (s)ventura di starmi accanto.

L’aver conosciuto Sara mi fa ripromettere di lavorare su me stessa a beneficio dell’amabile vecchina che voglio diventare.

Giusi Lo Bianco